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Eva

Italia e biotech. Molta ricerca ma pochi trasformano la scienza in impresa #startupitalia

Updated: Nov 22, 2022


English version (auto-translated) below


La parabola ascendente delle startups attive nel settore di sviluppo farmaceutico e degli investitiori nel settore Biotech è decisamente una delle migliori novità degli ultimi anni in Italia. Si assiste chiaramente ad una scena sempre piu' vivace e ad una cresente presenza ed interesse da parte di diversi attori, dagli acceleratori e incubatori ai business angels, dai technolgy transfer offices delle Università ai fondi di venture capital specializzati, dalla creazione di cospicui fondi statali alla presenza, sempre piu' marcata sul territorio, di parner essenziali e “suppliers” capaci di fornire le competenze e infrastrutture necessarie allo sviluppo di nuovi farmaci e il supporto multidisciplinare cruciale per le piccole biotech nella loro fase iniziale e di crescita. Cito ad esempio l'eccellenza di #Evotec a Verona, ma anche aziende meno conosciute ma non meno innovative e competenti, piu' giovani e specializzate, quali #inSilico,


Come evidenziato nell'articolo di #startupitalia, la crescita di un ecosistema procede attraverso passaggi essenziali e non indolori, come anche ben riassunto dalla frase riportata dal co-fondatore di Genenta Science: "Si fanno le ossa, faranno errori, faranno cose buone, bruceranno soldi, ma qualcosa di buono verrà sicuramente fuori".

Va' in effetti dato atto a nuovi e coraggiosi protagonisti, imprenditori e investitori, della difficoltà di tale impresa e del loro contributo alla crescita del settore.


Ciononostante, al fine di migliorare non solo l'ecosistema in quanto entità generica, ma anche il rapporto specifico tra le startups individualmente piu' promettenti e quelle destinate a non durare, bisogna avere un’approccio preciso. Non si deve cadere nell'errore di credere che lo scopo ultimo sia semplicemente quello di spingere l'ecosistema, già di per se' cosa indubbiamente lodevole e un grande vantaggio per il settore biotech in generale, ma bisogna tenere uno sguardo attento anche sulla crescita della qualità individuale delle aziende, ovvero la percentuale di biotech di successo tra quelle finanziate, non solo sul numero assoluto di tali società create o sulle quali si è investito.

Biosogna poi riflettere sulla nozione di successo: cosa si intende per successo? Semplicemente la vendita di una società ad un’altro acquirente (senza occuparsi poi del destino e dell'utilità finale di cio' che si era iniziato) oppure lo sviluppo ultimo di un farmaco che effettivamente sia utile ai pazientie e migliori lo "standard of care"?


Non bisogna limitare il ruolo dei nuovi attori principali (invesititori, acceleratori) ad un contributo che, visto la centralità nel garantire la nascita e sopravvivenza dell'ecosistema, sia da considerare già "sufficientemente buono" di per se', con una attitudine troppo indulgente o addirittura autoreferenziale. Non bisogna cadere nella trappola di pensare "visto che siamo essenziali e ci stiamo facendo le ossa, perdonateci ogni errore", oppure "abbiate pazienza, stiamo imparando". Certo, si sta’ imparando, ne va dato atto, ma serve riconoscere gli eventuali errori, capirne a fondo le cause, e far tesoro delle lezioni già assodate negli altri ecosistemi, europei e d'oltreoceano, e saperne cogliere l’essenza.


Sono ancora molti i punti ancora aperti sui quali il giovane ecosistema del biotech italiano puo' migliorarsi senza cadere nell’errore fatale di considerarsi "bravi" prima di essere sufficientemente maturi.


A tale scopo, ecco un paio di prospettive su cui riflettere e alcune considerazioni su quali aspetti non debbano essere dimenticati


Non bisogna trascurare ad esempio che, nonostante i grandi sforzi e buona volontà mostrati, in particolare negli ultimi anni grazie alla presa di coscienza dell'importanza del settore, manca ancora quasi totalmente in Italia una Cultura dell'investimento in biotech e nello sviluppo di farmaci a tecnologie altamente innovative. Gli investitori attivi in Italia derivano tradizionalmente dal mondo della finanza, o a volte dell'ingenieria, ed hanno sviluppato le loro competenze investendo principalmente in settori fin'ora piu' di tendenza come IT, fintech, consumer goods o al massimo medtech.

Ci muoviamo con il biotech in un mondo completamente diverso. Se alcune caratteristiche comuni possono sicuramente essere presenti, le differenze sono molto piu' marcate.


Mi riferisco a questioni quali ad esempio i tempi dell'investimento prima di un possibile ritorno, la difficoltà di valutazione iniziale del livello di sviluppo preclinico della tecnologia, in particolare se appena uscita da un laboratorio di ricerca universitario, il conseguente impatto sull’effettivo capitale necessario per la partenza, i possibili fraintendimenti e conseguenze per la società.


Si aggiunge a cio' il fatto che, paradossalmente, il settore biotech è ancora estremamente conservatore se paragonato ad altri quali IT e persino medtech. Cio' è probabilmente dovuto al fatto che, mentre la narrativa imprenditoriale associata ad aziende quali Apple o Microsoft prevede il "nerd" di turno alle prese con un computer nel suo garage, il settore farmaceutico, altamente “capital intensive”, non puo' svilupparsi al di fuori di ambienti ancora in molti casi controllati, all’interno di realtà con una mentalità piu' tradizionalista e, se si vuole, "accondiscendente", quali appunto i laboratori universitari o le grosse industrie farmaceutiche. Cio' porta in molti casi a voler riaffermare informazioni e conoscenze date per acquisite in ambiti nei quali bisognerebbe invece trovare soluzioni completamente nuove, e non cristallizzarsi su esperienze passate, anche se precedentemente di successo.

Bisogna riuscire a guardare al di là di cio' che si conosce e riuscire ad allargare il pensiero nell'ambito delle molteplici possibilità, per trovare poi quella piu' adatta, che in molti casi sarà diversa da cio' che aveva funzionato prima.


Se guardiamo in dettaglio alcuni di questi aspetti e le loro conseguenze, si vede che ad esempio la mancanza di cultura e conoscenza dei passaggi iniziali dello sviluppo di un farmaco, delle evidenze sperimentali necessarie, e del loro costo reale puo' portare a finanziamenti utopici o false aspettative. L'investitore biotech deve essere in grado di confrontarsi con grosse incertezze e variabili intrinseche, ed essere pronto a supportare l'azienda piu' a lungo termine e con investimenti piu' cospicui che nel caso di altri settori high-tech. Soprattutto nel caso di investitori non istituzionali e business angels, il profilo di rischio deve essere piu’ alto e soprattutto avere come motivazione principale non il semplice ritorno finanziario, ma lo scopo ultimo, ovvero lo sviluppo di un farmaco necessario e di una tecnologia innovativa con impatto positivo sulla vita delle persone. Il ritorno finanziario sarà una conseguenza di tale attitudine mentale ed aumenterà proporzionalmente piu' si sarà in grado di capire e modulare con efficacia le diverse variabili.


Prendiamo ad esempio la giustissime affermazioni di Pierluigi #Paracchi "Il fattore chiave è riuscire a unire la componente scientifica con quella imprenditoriale”, o "In Italia…si produce una quantità straordinaria di paper scientifici, ma la capacità di trasformare questa scienza in un’impresa rappresenta ancora un limite enorme” e anche “nel nostro ecosistema non ci sono abbastanza imprenditori". Cerchiamo di capire il significato reale di tali osservazioni e come proporre una soluzione.


Bisogna riconoscere che tante volte, nonostante l’eccellenza scientifica su cui dovrebbero focalizzarsi, i ricercatori universitari all’origine della scoperta mancano non semplicemente della consapevolezza della diversità di approccio e di esigenze sperimentali tra il mondo della ricerca di base e quello dello sviluppo preclinico e clinico, cosa di per se assolutamente comprensibile, ma in molti casi soprattutto della volontà di ammettere tale realtà, e di accettare di lasciare la loro scoperta nelle mani di persone con la capacità di trasformarla, riducendo il proprio coinvolgimento diretto e costante nell'azienda. Questo è in molti casi un prerequisito essenziale per colmare il divario tra la produzione scientifica e la capacità di trasformare la scienza in impresa, e per attirare quegli imprenditori che mancano in Italia e che non sono pero’ disposti ad operare con troppe restrizioni ed interferenze, lasciando loro la necessaria libertà operativa per produrre quei tanto attesi risultati.


Cio’ è noto ed accettato trasversalmente in ecosistemi piu' maturi che in Italia come una condizione essenziale per la riuscita di una startup: la figura imprenditoriale in grado di traslare la scoperta scientifica in prodotto adatto al mercato, deve godere di condizioni tali da allinearne completamente gli interessi con quelli dell’azienda. Cio’ significa tra l’altro che è essenziale che tale figura ricopra non solo un ruolo manageriale e goda della necessaria libertà, ma che diventi fin da subito co-proprietario dell’azienza in questione in misura pari o addirittura superiore ai detentori della scoperta scientifica.


Stà agli investitori, venture capital, business angels, e a tutti gli altri interpreti del sistema, correggere questo gap, portando consapevolezza nel mondo scientifico che, per usare una metafora, "meglio una fetta piu' piccola di una grande e buonissima torta, che una fetta molto grande di una torta...bruciata, o inesistente", allineando non solo gli interessi di tutti gli stakeholders al successo dell'azienda, ma soprattutto dando l'impressione ad investitori ed imprenditori esteri di piu’ lunga data nel settore, Europa e Stati Uniti, di aver finalmente capito aspetti fondamentali per il successo dell’investimento, ed essere finalmente riconosciuti come attori principali nel Biotech, dando ulteriore slancio ad un settore con grandissime potenzialità ed impatto per l'economia Italiana.


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The upward trend of startups active in the pharmaceutical development sector and number of investors in the Biotech sector is definitely one of the best news in recent years in Italy. We are clearly witnessing an increasingly vibrant scene and a growing presence and interest by different players, from accelerators and incubators to business angels, from the technolgy transfer offices of universities to specialized venture capital funds, from the creation of conspicuous state funds to the growing presence of essential partners and suppliers capable of providing the skills and infrastructure necessary for the development of new drugs and the multidisciplinary support crucial for small biotechs in their early and growth phase. I cite for example the excellence of #Evotec in Verona, but also lesser known but no less innovative and competent, younger and specialized companies such as #inSilico.


As pointed out in the #startupitalia article, the growth of an ecosystem proceeds through essential and not exactly painless steps, as also well summarized by the phrase quoted by the co-founder of Genenta Science: "They “fanno le ossa”, they will make mistakes, they will do good things, they will burn money, but something good will definitely come out."

Indeed, credit must be given to brave new players, entrepreneurs and investors, for the difficulty of such an undertaking and their contribution to the growth of this industry.


Nonetheless, in order to improve not only the ecosystem as a generic entity, but also the specific relationship between the individually most promising startups and those meant not to last, a precise approach must be taken. One should not fall into the mistake of believing that the ultimate goal is simply to push the ecosystem, which in itself is undoubtedly a laudable thing and a great benefit to the biotech sector in general, but one must also keep a close eye on the growth of the individual quality of companies, that is, the percentage of successful biotechs among those financed, not just the absolute number of companies created or someone has invested in.

We than need to reflect on the notion of success: what is meant by success? Simply the sale of a company to another buyer (without dealing with the ultimate fate and utility of what was started) or the ultimate development of a drug that actually benefits patients and improves the "standard of care"?


One should not limit the role of new key players (investors, accelerators) to a contribution that, given its centrality in ensuring the creation and survival of the ecosystem, is to be considered already "good enough" in itself, with an over-indulgent or even self-referential attitude. One should not fall into the trap of thinking "since we are essential and unexperienced, forgive us any mistakes," or "be patient, we are learning." Of course, we are learning, it must be acknowledged, but it is necessary to recognize any mistakes, understand the causes thoroughly, and treasure the lessons already learnt in other ecosystems, European and oversea, and know how to grasp the essence.


There are still many open points on which the young Italian biotech ecosystem can improve without falling into the fatal mistake of considering itself "good" before being sufficiently mature.


To that end, here are a couple of perspectives to ponder and some considerations on which aspects should not be forgotten


For example, it should not be overlooked that, despite the great efforts and goodwill shown, particularly in recent years thanks to the awareness of the importance of the sector, a real Culture of investment in biotech and in the development of drugs with highly innovative technologies is still almost totally lacking in Italy. Active investors in Italy have traditionally come from the world of finance, or sometimes engineering, and have developed their expertise by investing mainly in more trendy sectors such as IT, fintech, consumer goods or at most medtech.

We move with biotech into a completely different world. While some common features can certainly be present, the differences are much more pronounced.


I am referring to issues such as the timing of the investment before a possible return, the difficulty of initial assessment of the level of preclinical development of the technology, particularly if it has just come out of a university lab, the consequent impact on the actual capital required as seed investment, the possible misunderstandings and consequences for the company.


Added to this is the fact that, paradoxically, the biotech sector is still extremely conservative when compared to others such as IT and even medtech. This is probably also due to the fact that, while the entrepreneurial narrative associated with companies such as Apple or Microsoft relies on the famous "nerd" grappling with a computer in his garage, the pharmaceutical sector, highly "capital intensive," cannot develop outside environments still in many cases controlled within more traditional realities and, if you want, "condescending" mentality, such as university labs or large pharmaceutical industries. This leads in many cases to a desire to reaffirm past information and knowledge taken for granted in areas where completely new solutions should be found instead, and not to dwell on past experiences, even if previously successful.

One has to be able to look beyond the known and be able to broaden one's thinking in the world of multiple possibilities, and finding than the one that is most suitable, which in many cases will be different from what had worked before.


If we look in detail at some of these issues and their consequences, we see that, for example, the lack of culture and knowledge of the initial steps of drug development, the experimental evidence needed, and their real cost can lead to utopian funding or false expectations. The biotech investor must be able to deal with large inherent uncertainties and variables, and be prepared to support the company longer term and with larger investments than in the case of other high-tech sectors. Especially in the case of private investors and business angels, the risk profile needs to be higher and above all they need to have as main motivation not the simple financial return, but the ultimate goal, which is the development of a necessary drug and an innovative technology with positive impact on people's lives. Financial return will be a consequence of such mental attitude and will increase proportionally the more one is able to understand and effectively modulate the different variables.


Take for example Pierluigi Paracchi's correct statement "The key factor is to be able to combine the scientific component with the entrepreneurial component," or "In Italy...an extraordinary amount of scientific papers are produced, but the ability to transform this science into an enterprise is still a huge limitation," and also "There are not enough entrepreneurs in our ecosystem." Let us try to understand the real meaning of these statements, and how to propose a solution.


It must be acknowledged that many times, despite the scientific excellence on which they should focus, the university researchers at the origin of the discovery lack not simply the awareness of the diversity of approach and experimental needs between the world of basic research and the world of preclinical and clinical development, which in itself is absolutely understandable, but in many cases above all the willingness to admit this reality, and to accept leaving their discovery in the hands of people with the ability to transform it, reducing their own direct and ongoing involvement in the company. This is in many cases an essential prerequisite for bridging the gap between scientific production and the ability to transform science into business, and for attracting those entrepreneurs who are lacking in Italy and who are, however, unwilling to operate with too many restrictions and interferences, leaving them the necessary operational freedom to produce those long-awaited results.


As it is known and accepted in more mature ecosystems than in Italy as an essential condition for the success of a startup: the entrepreneurial figure capable of translating scientific discovery into a product suitable for the market, must enjoy conditions which fully align his interests with those of the company. This means, among other things, that it is essential that he/she not only plays a managerial role and enjoys the necessary freedom, but that also becomes a co-owner of the company in question from the beginning, to an extent equal to or even greater than the holders of the scientific discovery.


It is up to investors, venture capitalists, business angels, and all other interpreters of the system, to correct this gap, bringing awareness to the scientific world that, to use a metaphor, "better a smaller slice of a big and very good cake, than a very large slice of a cake ... which is burned, or nonexistent," aligning not only the interests of all stakeholders to the success of the company, but above all giving the impression to more insightful and established foreign investors and entrepreneurs in the sector, as in Europe and the United States, that they have finally understood aspects which are fundamental for a successful investment, and can finally be recognized as major players in the Biotech field, giving further impetus to a sector with great potential and impact for the Italian economy.

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